Diritto all’oblio: il Garante può ordinare la deindicizzazione globale

Con Ordinanza n. 34658, pubblicata il 24 novembre 2022, la Corte di Cassazione ha sancito che, in ossequio al c.d. “diritto all’oblio” previsto dal GDPR, il provider è tenuto a dare seguito alle istanze di rimozione degli URL, anche con riguardo alle versioni extraeuropee del motore di ricerca.

La prima Sezione civile della Suprema Corte ha, infatti, accolto il ricorso del Garante della Privacy contro Google Llc, Google Italy Srl, riformando la decisione assunta dal Tribunale di Milano nel settembre 2020, che aveva limitato il provvedimento precedentemente assunto dal Garante, riducendolo all’ordine di rimozione degli URL sulle versioni del motore di ricerca dei soli paesi dell’Unione europea interessati.

La Corte ha chiarito che l’assunzione di una siffatta decisione impone il necessario bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata ed alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà di informazione, da operarsi sulla base delle normative applicabili nello Stato europeo in cui la richiesta viene formulata o, al più, nell’ambito dei sistemi giuridici degli Stati membri dell’UE.

Resta fermo che i Paesi estranei all’Unione Europea potranno anche non tenere conto di tale ordine, restando impregiudicata la possibilità per questi ultimi di non riconoscere il provvedimento o la decisione giurisdizionale che lo ha ritenuto legittimo.

Cassazione Civile, Ordinanza n. 34658/2022 del 24 novembre 2022

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Doveri del Collegio Sindacale secondo il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza

Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCI), modificato dal D.Lgs. n. 83/2022 ed entrato in vigore il 15 luglio 2022, incide direttamente sui doveri degli organi sociali ed in particolare del Collegio Sindacale, già chiamato dal Codice Civile a vigilare sull’adeguatezza e sul concreto funzionamento degli assetti organizzativi ed ora rafforzato, siccome evidenziato da Assonime nella Circolare n. 27/2022 nei suoi doveri di controllo dal CCI, al fine di poter rilevare tempestivamente una eventuale crisi e perdita di continuità aziendale nelle situazioni di difficoltà economica della società controllata.

 Al Collegio Sindacale è richiesto:

  1. un controllo ex ante, per rilevare eventuali mancanze o irregolarità che devono essere segnalate tempestivamente agli amministratori, così da instaurare con i medesimi una dialettica collaborativa e continuativa.
  2. Di segnalare per iscritto, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di accesso alla composizione negoziata.

Il Collegio Sindacale viene avvertito:

  • dai creditori pubblici qualificati del superamentodi determinate soglie di attenzione, così come previste dagli artt. 25-novies e seguenti del CCI;
  • delle variazioni, revisioni o revoche degli affidamentiin corso comunicate al cliente, dalle banche e dagli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 del Testo Unico Bancario.

A differenza di quanto previsto nella versione originaria del decreto introduttivo del CCI, gli obblighi di vigilanza sugli assetti e di segnalazione all’organo di amministrazione, gravano ora in capo al solo organo di controllo e non, ove presente, al soggetto incaricato della revisione legale.

Dall’Agenzia delle Entrate chiarimenti su imposizione diretta e indiretta dei trust

Con la Circolare n. 34/E del 20 ottobre 2022, l’Agenzia delle Entrate (AdE) ha fornito indicazioni sulla disciplina fiscale dei trust.

In linea con le novità introdotte a partire dal periodo di imposta 2020 con D.L. 124/2019, l’AdE  chiarisce l’imposizione diretta delle “attribuzioni” a soggetti residenti in Italia, provenienti da trust stabiliti in giurisdizioni che, con riferimento al trattamento dei trust, si considerano a fiscalità privilegiata.

Tanto la novella normativa che, ora, la Circolare AdE forniscono regole certe e chiare per l’imposizione delle “attribuzioni” da parte di trust opachi, ovvero di trust senza beneficiari di reddito individuati, per evitare che la residenza fiscale del trust in un Paese con regime fiscale privilegiato, comporti la sostanziale detassazione dei redditi attribuiti ai soggetti italiani.

– Sono inclusi tra i redditi di capitale anche i redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto, stabiliti in Stati e territori che, con riferimento ai redditi prodotti dal trust, si considerano a fiscalità privilegiata.

– Si presume reddito, con una presunzione “relativa” suscettibile, dunque, di prova contraria, qualunque attribuzione in relazione alla quale non sia possibile distinguere se trattasi di corresponsione di reddito ovvero di patrimonio dal trust ai beneficiari.

Lato imposizione indiretta, recependo gli ultimi orientamenti della Suprema Corte di Cassazione, l’AdE chiarisce che l’atto istitutivo del trust con la “dotazione” di beni e diritti nel fondo in trust, ai fini dell’applicazione della reintrodotta Imposta sulle Successioni e Donazioni, non dà luogo di per sé ad un effettivo trasferimento di beni o diritti e, quindi, ad un arricchimento dei beneficiari; pertanto l’istituzione del fondo in trust con l’assegnazione di beni e diritti è soggetta all’Imposta di Registro in misura fissa ex art. articolo 11 della Tariffa, parte prima, del d.P.R. n. 131 del 1986, mentre  l’Imposta sulle Successioni e Donazioni, ad aliquote proporzionali e franchigie previste in relazione al grado di parentela tra disponente e beneficiari, è rinviata al successivo momento di attribuzione dei beni e diritti dal trustee ai beneficiari, al compimento dello scopo del trust e/o suo scioglimento, anche in dipendenza di quanto disposto nel deed istitutivo.

Importante novità in tema di tassazione dei dividendi di fonte estera dalla Suprema Corte di Cassazione

Una delle più annose problematiche che i contribuenti si trovano ad affrontare in sede di dichiarazione dei redditi è proprio la doppia imposizione che essi sono costretti a subire per via del contesto normativo vigente in materia di tassazione dei dividendi esteri percepiti senza l’intervento di un intermediario.

Sino ad oggi, infatti, l’Agenzia delle Entrate, fornendo un’interpretazione molto restrittiva delle disposizioni di cui all’art. 27 del Dpr n. 600/73, ha sempre negato la possibilità di portare in detrazione l’ammontare dell’imposta estera pagata nello Stato alla fonte, riconoscendo tale eventualità solo allorquando nell’incasso del dividendo intervenisse un intermediario residente in veste di sostituto d’imposta.

Sul punto tuttavia è intervenuta la suprema Corte di Cassazione che, con la Sentenza n. 25698 pubblicata il 1° settembre 2022, ha stabilito che “per i redditi di capitale di fonte estera, direttamente percepiti dal contribuente, persona fisica, titolare di una partecipazione non qualificata in una partnership di diritto internazionale (nel caso, statunitense), qualora l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta a titolo d’imposta – come nell’ipotesi di cui all’articolo 27, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, o mediante imposta sostitutiva, del tutto sovrapponibile alla prima in ragione dell’identità di funzione, di cui all’articolo 18, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986 – avvenga non «su richiesta del beneficiano del reddito» ma obbligatoriamente, non potendo il contribuente chiedere l’imposizione ordinaria, l’imposta sul reddito pagata in un Paese estero (nel caso, Stati Uniti d’America) si deve considerare detraibile”.

La Cassazione, pertanto, in dette situazioni, riconosce la possibilità di portare in detrazione l’imposta subita all’estero, equiparando i contribuenti che per l’incasso dei dividendi utilizzano o meno un intermediario residente, eliminando così un’ingiusta discriminazione che da sempre si consuma nel sistema tributario italiano.

L’intervento è particolare importante e fornisce una chiara interpretazione del dettato normativo interno in funzione delle Convenzioni contro le Doppie Imposizioni per il quale, ci si auspica un recepimento anche da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Cessione occulta d’azienda. Cessione di azienda non formalizzata e condanna della cessionaria “occulta” a rispondere dei debiti dell’azienda

Con sentenza n. 7808 del 10 ottobre 2022, il Tribunale di Milano ha accolto le domande dell’attrice e, ravvisando una cessione occulta d’azienda tra le società convenute, ha condannato entrambe a rispondere dei crediti maturati dall’attrice in forza del contratto a suo tempo intervenuto.

Sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, il Giudice ha accertato che la c.d. “cessionaria occulta” avesse acquisito, pur in assenza di una formale trascrizione, l’azienda della cedente (originaria controparte contrattuale dell’attrice).

Le convenute sono state quindi condannate in solido al pagamento dei crediti vantati dall’attrice, la cedente a titolo di responsabilità contrattuale, la cessionaria ai sensi dell’art. 2043 c.c., quale responsabilità extracontrattuale.

Quali indici rivelatori della intervenuta cessione occulta di azienda, il Giudice ha indicato le seguenti circostanze di fatto: (i) che il legale rappresentante delle due società fosse il medesimo soggetto, (ii) che la denominazione sociale delle stesse fosse pressoché identica, (iii) che le due società svolgessero la stessa attività e che (iv) le sedi legali di queste ultime fossero situate a pochi chilometri di distanza.  

La pronuncia in oggetto, ottenuta dal nostro studio in favore di una società cliente, si caratterizza per essere tra le poche che ad oggi si sono espresse sulla fattispecie della c.d. ^cessione occulta d’azienda^.

Tribunale di Milano, sent. n. 7808/2022 del 10 ottobre 2022

Responsabilità degli enti ex d. lgs. 231/2001, infortuni sul lavoro e attribuzione al delegato in materia di sicurezza della posizione di apicale

Con la sentenza n. 34943, del 21 settembre 2022, la Cassazione Penale ha escluso, ai fini del riconoscimento della responsabilità amministrativa da reato in capo alla società, la possibilità di attribuire al delegato in materia di sicurezza la posizione di “apicale” all’interno dell’ente stesso.

Secondo i Giudici di legittimità, il conferimento di una ampia delega in via esclusiva nel settore della sicurezza sul lavoro non è sufficiente a far ricomprendere il delegato nel novero delle figure apicali indicate dall’art. 5 lett. a) del D.lgs. 231/2001.

In particolare, non è possibile operare un’equiparazione tra “il potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza” e l’automatico riconoscimento di una veste apicale, secondo la citata previsione normativa.

La Corte di Cassazione precisa, inoltre, che il principio di legalità impone al giudice di attenersi alla precisa dizione della norma senza indulgere a interpretazioni analogiche o estensive e, nel caso in cui la norma non sia chiara, di attenersi alla interpretazione giurisprudenziale vigente, evitando interpretazioni in malam partem.

 

Dal CDM del 28/09/2022 modifiche al D.Lgs. di recepimento della Direttiva PIF

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 28 settembre 2022, ha approvato, in esame definitivo, un decreto legislativo che introduce disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo n. 75 del 14 luglio 2020, di attuazione della direttiva, cosiddetta PIF, (UE) n. 1371, del 5 luglio 2017, del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.

 

In estrema sintesi, il nuovo provvedimento legislativo adegua le disposizioni nazionali alla normativa europea, intervenendo, in particolare: (i) sulla disciplina del reato di appropriazione indebita da parte del funzionario pubblico; (ii) in materia doganale; (iii) in tema di congelamento e confisca degli strumenti e dei proventi dei reati estendendoli anche ai beni di valore corrispondente; (iv) in materia d’indebita percezione di erogazioni a carico totale o parziale del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale; (v) in tema di reati concernenti le dichiarazioni IVA. Intervenendo sull’art. 6 del D.Lgs. n. 74/2000 con l’aggiunta del comma 1-bis, la novella legislativa prevede la punibilità, anche a titolo di tentativo, dei delitti di: dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2), dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3) e dichiarazione infedele (art. 4).

Istanze di semplificazione e di maggiore allineamento alla ratio OCSE della documentazione italiana di Transfer Pricing

Per evitare aggravi amministrativi alle imprese, quando non addirittura l’abbandono tout court del regime di compliance, Assolombarda e il Centro studi dell’Ordine dei dottori Commercialisti (Odcec) di Milano hanno condiviso un Position Paper (“PP”) con riflessioni e proposte, destinate all’Agenzia delle Entrate (AdE), di perfezionamento della disciplina degli oneri documentali sul transfer pricing (TP) e di semplificazione, al fine di riportarla alla ratio dell’Ocse.

Rispetto agli standard Ocse, infatti, l’AdE, con il provvedimento direttoriale del 23 novembre 2020, ha adottato un set documentale caratterizzato da una mole di informazioni richieste più onerosa di quanto indicato dall’Ocse e non facilmente recuperabili entro le tempistiche previste, anche con riferimento all’obbligo di apporre la marca temporale sull’intero set documentale. Quanto alla marca temporale, novità introdotta nel 2020, i tempi stretti imposti  potrebbero rendere difficoltosa la predisposizione del Masterfile, soprattutto per le società appartenenti a gruppi esteri. Infatti, può accadere che: (i)  il gruppo di appartenenza non sia tenuto alla predisposizione del Masterfile; oppure (ii) che, pur essendovi tenuto, il documento abbia un contenuto diverso rispetto a quanto richiesto dal  Provvedimento AdE del 23 novembre 2020; oppure, ancora, (iii) che possa essere predisposto con tempistiche più flessibili rispetto a quelle stringenti richieste dal Provvedimento italiano (termine di invio telematico all’AdE del Modello di dichiarazione dei Redditi riferita al periodo di imposta oggetto di indagine).Tra gli altri punti di complessità sottolineati dal PP: (i) le transazioni tra casa madre italiana e branch estera con credito di imposta, (ii) il posizionamento nell’intervallo di libera concorrenza, (iii) la documentazione per i servizi a basso valore aggiunto e (iv) le operazioni marginali.

 

 

Processo Telematico. Duplicato informatico e copia informatica. Distinzione. Requisiti tecnici.

Con sentenza n. 27379 pubblicata in data 19 settembre 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla distinzione tra ^duplicato informatico^ e ^copia informatica^.

Richiamando il Codice dell’amministrazione digitale, la Suprema Corte ha precisato che il c.d. ^duplicato informatico^ è quel documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (che si misurano in bit).

La Corte ha rilevato che la corrispondenza del ^duplicato informatico^ (in ogni singolo bit) al documento originario non emerge, come invece avviene per le ^copie informatiche^, dall’uso di segni grafici, ma dall’uso di programmi di algoritmi, che consentono di verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato.

La Cassazione si è poi pronunciata in merito alla non necessità di attestazione di conformità tra originale e ^duplicato informatico^, in virtù dell’art. 23 bis del Codice dell’amministrazione digitale dispone che “I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida”.

Nel caso di specie, i ricorrenti avevano promosso ricorso avverso la sentenza di Corte d’Appello che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dai medesimi ricorrenti, perché giudicato tardivo rispetto alla data di notifica della sentenza di primo grado. A sostegno dell’impugnazione, i ricorrenti avevano sostenuto la nullità della sentenza notificata, in quanto documento asseritamente privo di alcun segno grafico (coccarda e stringa) che attestasse l’esistenza della firma digitale del giudice.

Applicando i principi sopra esposti, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sent. n. 27379 del 19 settembre 2022

Pignoramento della pensione. Introdotta la soglia minima di 1.000,00 euro. Pignorabile solo l’eccedenza e nei limiti previsti dalla legge.

È ufficiale l’innalzamento del limite di pignorabilità delle pensioni, a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 221/2022 della Legge n. 142/2022 di conversione del D.L. 121/2022 (cd. decreto aiuti bis).

L’art. 21 bis, introdotto in sede di conversione, ha infatti modificato il 7° comma dell’art. 545 c.p.c., portando a 1.000,00 euro il cd. limite minimo vitale non pignorabile. Si potrà quindi pignorare solo la parte di pensione eccedente i 1.000 euro e solo nei limiti previsti dalla legge.

Questo è il limite attuale determinato in misura fissa (appunto 1.000 euro). Tuttavia, nel nuovo art. 545 c.p.c. rimane anche un limite variabile, commisurato ora “al doppio” dell’assegno sociale (nel 2022 pari a 468,22 euro) e non più all’“ammontare dell’assegno sociale, aumentato della metà”.

Se, quindi, l’importo dell’assegno sociale dovesse superare i 500 euro nei prossimi anni (il che non è da escludersi), la soglia di impignorabilità delle pensioni supererebbe i 1.000 euro.