L’inflazione del dibattito registrata sul tema “Sostenibilità” rischia di far scemare l’attenzione e di creare confusione nei confronti del fenomeno[1] che, anche per effetto di alcuni importanti interventi normativi[2], ha assunto oramai una centralità indiscutibile per la comunità globale, per l’Europa, per il nostro paese e, per quanto qui interessa, per tutte le imprese[3], domestiche e transnazionali, a prescindere dal loro livello dimensionale[4].
Nasce così la necessità di indagare a fondo, guardando oltre l’acronimo ESG, e cercare di perimetrare, cosa si intenda oggi, realmente, per Sostenibilità[5].
In particolare, occorre accertare chi, ovvero quali soggetti, debbano promuovere e adottare pratiche sostenibili, nonché quali siano gli obblighi che hanno fatto seguito alle conferenze promosse ed avviate oltre trent’anni fa dai grandi della terra (l’Earth Summit di Rio de Janeiro, Brasile, del 1992; l’Accordo di Parigi, che ha registrato l’intesa tra gli USA e la Cina, nel 2015; e Baku 2024, la tappa dell’annunciato disimpegno USA e in parte di Sauditi e Cinesi.).
Nasce altresì la necessità di verificare se oggi la consapevolezza della “comunità mondiale” è cambiata[6], in positivo, principalmente per effetto del dibattito sviluppatosi in materia, e dei fenomeni ambientali e sociali registrati, ma anche per la maturità espressa dal mercato nell’ultimo trentennio: comunque si valuti il percorso seguito negli ultimi anni, è un dato di fatto che molte imprese sono già avanti nella promozione e nell’adozione di pratiche sostenibili.
Qualcuno afferma che il mercato sta registrando la scienza e la nostra sopravvivenza[7].
Ma la prima questione che qui, con queste riflessioni, si intende porre è un’altra: sino ad oggi il temine “Sostenibilità” è stato inteso prevalentemente soltanto nella sua accezione ecologica come sinonimo di sostenibilità ambientale[8], non considerando che il concetto si è evoluto in misura significativa nel corso di questi ultimi anni e oggi include anche una forte e partecipata dimensione sociale che vede “la persona” al centro del fenomeno, come componente essenziale dell’indissolubile rapporto fra benessere umano e benessere del pianeta[9].
A guardar bene, la percezione è che sia nato un grande equivoco, forse frutto dell’attenzione spasmodica attribuita all’acronimo ESG[10], riconosciuta a livello universale, e della dipendenza che si è sviluppata a livello inconscio nei confronti di questa sigla che, probabilmente, ha indotto tutti ad un colossale errore: quello di far credere che la sostenibilità possa essere “scomposta”.
D’altra parte, il pericolo delle sigle è quello di affezionarsi troppo alle lettere che le compongono con la convinzione che, soprattutto se riconosciute universalmente, esse racchiudano tutto lo scibile in materia.
L’alternativa è che si registrino dei tentativi, spesso autorevoli ed opportuni, di modificare l’acronimo integrandolo ed estendendolo per cercare di ricomprendere temi di estrema rilevanza che sono venuti all’attenzione solo in una fase successiva a quella in cui la sigla è stata “coniata”, o, talvolta, di considerare quelle stesse lettere dell’acronimo individualmente, come se viaggiassero su tre binari differenti, magari paralleli, e che non si incontrano mai[11].
Con l’ulteriore sottovalutazione di aver accentuato l’importanza prioritaria della “E”, Enviromental, lettera iniziale dell’acronimo, sulla scorta delle spinte ambientalistiche che hanno commesso l’errore di “lasciare indietro”, cioè di trascurare , nel senso di non considerare una priorità, la cura del fattore “S”, Sociale, e del fattore “G”, Governance, come se si trattasse di questioni distinte ed autonome, alle quali sarebbe stato possibile dedicarsi in seconda battuta, senza una particolare urgenza.
Cadere in questi errori è risultato fatale per molteplici motivi. Il primo, più noto, è legato alla crisi registrata a livello globale tra grandi potenze e tra paesi progrediti e in via di sviluppo, che da sempre hanno espresso posizioni contrastanti, a volte in antitesi, sugli effetti climatici e sulle azioni e presidi necessari per intervenire sull’ambiente. Il secondo, è legato al problema connesso all’approvazione, da parte di alcune comunità (tra cui l’Europa) di normative molto, probabilmente troppo, rigorose, che hanno, tra l’altro, imposto termini di adeguamento a dir poco ambiziosi, sicuramente incompatibili con il necessario, prioritario, adeguamento delle infrastrutture e con la inevitabile conversione industriale principalmente del settore automobilistico[12], dando per scontato o perlomeno sperando che tali adeguamenti potessero realizzarsi in maniera a dir poco automatica.
Ritenendo erroneamente che la Sostenibilità fosse perlopiù incentrata sull’ Enviromental, le battute di arresto registrate sulla lettera “E” dell’acronimo[13] hanno fatto pensare che “l’arresto” riguardasse l’intero processo di Sostenibilità. Ma vi sono motivi ulteriori, più profondi, meno visibili ma più sottili, che hanno concorso a minare il virtuoso percorso di affermazione della Sostenibilità. Tra questi l’incapacità generalizzata di comprendere l’unità e l’unicità del fenomeno, di portata globale, alla base della sopravvivenza umana; incapacità che ha parcellizzato, frazionato, isolato ed indebolito le azioni di implementazione e di rimedio della comunità internazionale, dei vari governi e delle imprese. Tali soggetti, purtroppo, non hanno operato promuovendo la sostenibilità a tutto tondo, come un “unicum” quale essa è, bensì focalizzando, promuovendo e sviluppando le proprie azioni per compartimenti stagni, con il risultato negativo di perdere la vera essenza del fenomeno: la “S” del Sociale che significa aver perso il significato e il primo obiettivo della centralità dell’uomo e del suo benessere[14].
Così operando, è sfuggita la “compenetrazione tra sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale nell’accezione più estesa e comprensiva di sostenibilità umana, educativa, comportamentale e soprattutto economica e finanziaria[15].
Queste considerazioni trovano molteplici argomentazioni e sostegno in dottrina, la quale ha proposto una profonda e suggestiva rivisitazione del fenomeno “Sostenibilità” rovesciando il cono di attenzione dal globale all’individuale[16].
Si tratta di un esercizio primario, cioè di ri-umanizzare la società riportando la centralità sull’uomo, il che comporta che il singolo individuo sappia assumersi la corresponsabilità del futuro, principalmente di quello altrui.
In sostanza, la responsabilizzazione del cittadino, da intendersi nel senso più ampio del termine come parte attiva della comunità, non va interpretata come alternativa o sterile rimpallo tra le figure (lo stato, le aziende, etc.) della società: più pragmaticamente, è da ritenersi come il primo ed indispensabile atto di autocoscienza necessario a riportare l’uomo “al centro del villaggio”[17].
Posta così la questione, è evidente che non ci sia lettera, ovvero fattore dell’acronimo ESG, che non richieda l’attenzione e l’applicazione dell’uomo come primo attore protagonista; è quindi l’uomo che dovrà agire con un sempre più frequente e maggiore impegno sociale, anche con la soluzione dei problemi ambientali, in virtù di una presa di coscienza che pone una questione etico-morale, anche di natura civile.
In altri termini, in primo luogo le persone, i singoli, devono assumere consapevolezza del fatto che viviamo ed agiamo in una realtà che ci è stata donata e che “è anteriore alle nostre capacità e alla nostra esistenza. Perciò quando si parla di uso sostenibile bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori ed aspetti”[18].
Insistendo ancora sulla centralità della “S” del Sociale, corre l’obbligo di chiedersi perché, a partire dalla comunità globale, tutti i soggetti coinvolti non si siano concentrati da subito sulla “S” per costruire le basi e le fondamenta della Sostenibilità ricordando che al contrario, ciclicamente, a periodi alterni, si è tentato di attribuire centralità e maggior rilevanza alle altre due lettere dell’acronimo (“EG”).
Il principale motivo che ha portato ad un esercizio di “scomposizione” della sigla ESG e alla registrazione di tentativi e soluzioni diversificate per rispondere alle diverse istanze sui temi ambientali, sociali e di governance, va individuato proprio nella globalità del fenomeno e nella molteplicità degli attori chiamati ad occuparsene.
Come noto, un fenomeno globale come quello della “Sostenibilità” richiama l’attenzione e l’impegno di una “popolazione” di studiosi, governanti, enti, investitori, manager etc. particolarmente diversificata quanto a cultura, know-how, back-ground, senza voler scomodare le ideologie ovvero gli orientamenti politici.
È, quindi, evidente, ed era normale che accadesse, che in una popolazione particolarmente disomogenea e diversificata i vari soggetti, detentori di sensibilità differenti, proponessero iniziative e soluzioni, focalizzate sui singoli fenomeni (ambientale, sociale e di governance), piuttosto che sul fenomeno globale della Sostenibilità.
È in tal senso che vanno lette le “fughe in avanti” registrate per perorare la causa dell’ambientale, così come è in tal senso che vanno visti i tentativi di molti studiosi di affermare la supremazia della Governance, senza la quale le imprese non potrebbero nemmeno pensare di avviare un processo virtuoso di sostenibilità[19].
Peraltro, questi tentativi non possono non essere apprezzati o, peggio, essere etichettati come maldestri, poiché, comunque li si valuti, hanno sortito effetti positivi, dimostrando di avere avuto una logica quantomeno di forte sensibilizzazione nei confronti della rilevanza dei vari temi legati alla Sostenibilità e di aver dato, comunque, un contributo importante, anche se parziale, dinanzi ad un fenomeno che, per sua natura, andrebbe affrontato nella sua interezza e complessità[20].
Comunque la si veda e comunque la si pensi, pur considerando la rilevanza di ognuno dei tre fattori di sostenibilità e la circolarità del fenomeno, pare indubbio che tutto ruoti intorno al fattore “S” del Sociale che rappresenta il punto di partenza ma anche il punto di arrivo[21].
Ciò in quanto, con riguardo alla Sostenibilità, non esiste una responsabilità aziendale o statale, o meglio, esistono responsabilità specifiche a carico dello stato e delle aziende, come si avrà modo di meglio osservare, ma tutte traggono origine da una responsabilità “madre”, quella individuale[22], dell’individuo che da sempre ha assunto, anche per cause naturali, una posizione di centralità, come sottolineato anche dalla dottrina che ha proposto una lucida ricostruzione degli ultimi tre secoli di storia,[23] per cui oggi si afferma prepotentemente e sempre di più la necessità di ritrovare l’Umano per superare il riduzionismo aziendalistico.
Vista in questa prospettiva, parlando di Sostenibilità, non può che affermarsi che i temi ambientale e di Governance non possono essere visti e trattati come autonomi fattori di sostenibilità: essi risultano essere parte integrante della “S”, del Sociale, che racchiude e ricomprende ogni tipo di fenomeno che riguarda l’essere umano e la sua felicità in termini di salute e benessere, cioè di Sostenibilità.
In questa prospettiva si è posto l’importante evento, “Human Economic Forum”[24] che ha presentato una “PROPOSTA DI REGOLAMENTO (UE) SULLA TASSONOMIA SOCIALE” interrogandosi, alla presenza di illustri studiosi provenienti da tutto il globo, sulla “Sostenibilità” per cercare di accertare se essa possa essere realmente umana.
Ovviamente, la questione posta è apparsa volutamente incisiva, essendo stato acclarato non solo dagli illustri studiosi presenti, di differenti paesi, culture e religioni, ma soprattutto dal Santo Padre (che ha ricevuto una delegazione in udienza privata, accettando il ruolo di custode del Regolamento) che “The pursuit of a sustainable and integral human development is critical for ensuring and promoting the universal common good. For this reason, it is essential to place the human person at the heart of all our concerns and activities”[25].
Dovrebbe quindi risultare abbastanza chiaro che trattando di temi vitali, sensibili e delicati si riscontra l’esistenza di un sistema circolare in cui è possibile individuare molteplici valori da tutelare a partire dalla felicità, dalla salute, il benessere etc., che devono essere tutti garantiti non per il mero appagamento egoistico dei bisogni o dei desideri ma principalmente per il rispetto del pianeta e delle nuove generazioni; per il rispetto dell’intera umanità[26].
Si è detto che “l’uomo è al centro del Villaggio”; se questo è vero, è l’uomo che dovrà occuparsi e preoccuparsi di garantire, a sé e alle future generazioni, un’elevata qualità di vita oltre al rispetto dei valori ed al soddisfacimento dei bisogni fondamentali. Dovrà essere attore, non passivo spettatore; dovrà coniugare e dare l’impulso a tutte le iniziative ed azioni necessarie, risolvere in primo luogo i problemi sociali, quindi quelli ambientali e di governance, ed essere arbitro severo affinché la Sostenibilità sia effettivamente perseguita e garantita e non venga ridotta ad uno sterile tecnicismo aziendale o governativo[27].
Pur prendendo atto “che il rispetto delle risorse e la consapevolezza di vivere in una casa comune non sono tra le priorità di tutti”[28], è anche vero che esistono modelli virtuosi riguardo a buone pratiche quotidiane diventate consuetudine. Questo lascia ben sperare e porta ad essere ottimisti sulla capacità dell’uomo di “ripristinare” i principi della sostenibilità del pianeta[29].
Tuttavia, l’obiettivo primario non è quello di mantenere i modelli ed i comportamenti virtuosi tutt’ora riscontrabili a livello consuetudinario, l’obiettivo è quello della piena e definitiva affermazione della Sostenibilità. Questo obiettivo richiede in primo luogo il perseguimento di un profondo cambio di prospettiva, per citare Albert Einstein “Avremo bisogno di un modo di pensare sostanzialmente nuovo se vogliamo che l’umanità sopravviva”[30]: fare in modo che le responsabilità individuali si estendano, appunto, dall’individuo ai sistemi politici ed economici, alle comunità sovranazionali, ai governi e alle aziende, ma mai dimenticando che sono e saranno sempre gli esseri umani ad essere arbitri, nel bene e nel male, ed a gestire il loro futuro.
Una volta acquisita questa immutabile ed indiscutibile consapevolezza è certamente possibile dare mandato agli altri attori che giocano un ruolo primario a livello globale.
Politica, legislatori, comunità sovranazionali, governi ed aziende saranno il “braccio armato” dell’uomo che dovrà sapientemente orientare e gestire le loro iniziative e le loro azioni al fine di ricostruire “un rinascimento «dall’alto», in una nuova e più contemporanea accezione «vitruviana» di patto sociale”[31].
*Docente di Diritto commerciale nell’Università LUM Giuseppe Degennaro, Direttore scientifico della Rivista Corporate Governance, Senior Partner Lexacta Global Legal Advice.
[1] S. MAFFETTONE, Prefazione, in M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, Ritrovare l’umano, ESG+H. Perché non c’è sostenibilità senza Health, Human e Happiness, Baldini+Castoldi Editore, Milano, 2024, pp.12-13., «[…] la sostenibilità sarebbe cosa fantastica, ma solo se presa sul serio e non resa obbligatoria» (grassetto mio).
Per coloro che concordano sulla non obbligatorietà per le imprese dell’adesione ai fattori ESG e alle normative sulla sostenibilità, vedasi S. A. CERRATO, Appunti per una “via italiana” all’ESG. L’impresa “costituzionalmente solidale” (anche alla luce dei “nuovi” artt.9 e 41, comma 4, Cost.), in Analisi giur. econ., 1/2022, p.113. L’A. sostiene che le «norme che creino incentivi all’adozione di buone pratiche di responsabilità sociale sono raccomandabili ma debbono restare confinate sul terreno dell’adesione volontaria da parte delle imprese. Imporre alle società il perseguimento di interessi diversi da quello dei soci appare a molti una panacea: rischia invece di alimentare un male peggiore, la deresponsabilizzazione del management, per non parlare del pericolo che gli investitori fuggano razionalmente da mercati e imprese che – gravati da obblighi di perseguimento di obiettivi non lucrativi – non massimizzano più i rendimenti; inaugurare, in una parola, il crepuscolo del capitalismo».
Dello stesso parere anche ENRIQUES, The European Parliament Draft Directive on Corporate Due Diligence and Accountability: Stakeholder-Oriented Governance on Steroids, in Riv. soc., 2021, p. 320 ss, citato in nota n.36 da RIMINI, Sostenibilità e nuova governance delle imprese azionarie nel diritto interno e comunitario tra realtà, criticità e prospettive, in Giur.comm., 2/2024, p.292/I, il quale definisce i provvedimenti emanati a livello internazionale ed europeo in materia di sostenibilità quali «manifestazione di atti di imperialismo economico europeo».
Dello stesso avviso, GENOVESE, La gestione ecosostenibile dell’impresa azionaria fra regole e contesto, Bologna, Il Mulino, 2023, p.51, citato in nota n.37 da RIMINI, op.cit., per cui tali provvedimenti sarebbero in grado, sia «di determinare ricadute pregiudizievoli sulle imprese dell’Unione Europea, che dovrebbero poter competere “ad armi pari” con rispettivi competitors a livello globale, sia di incidere sulla “competitività differenziale” dei singoli Stati membri».
Appare qui evidente che quelli che potrebbero delinearsi come effetti positivi in termini di sostenibilità ambientale, allo stesso tempo potrebbero tradursi in effetti negativi per il Sociale, primo fra tutti la perdita di occupazione per i lavoratori.
Nella Prefazione di S. MAFFETTONE, op.cit., l’A. analizza, inoltre, un’ulteriore problematica, ovvero che «[…] gran parte della sostenibilità attualmente all’opera finisce con l’essere più che altro facciata, una spolverata di buona volontà o, come si dice, mero greenwashing».
La Commissione europea, infatti, nel 2020 ha condotto uno studio su un campione di dichiarazioni ambientali pervenute dalle imprese, e ha rilevato che il 53,3% delle asserzioni esaminate erano vaghe, inconsistenti, fuorvianti e che il 40% erano del tutto infondate.
Si comprende quindi la ragione della Comunicazione della Commissione Europea effettuata nel 2021, indirizzata al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, ed intitolata Strategy for Financing the Transition to a Sustainable Economy, con cui ha stabilito che «Il regolamento Tassonomia intende fornire un sistema di classificazione solido e basato su dati scientifici, che consente alle imprese finanziarie e non finanziarie di condividere una definizione comune di sostenibilità e con ciò di fornire una protezione contro la pratica del greenwashing», con ciò sostenendo quindi che il Regolamento sulla Tassonomia ambientale (2020/852) possa rappresentare una protezione contro il fenomeno del greenwashing.
[2]Ex multis, le più recenti direttive (UE): Direttiva UE 2024/1760 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024, c.d. Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD o CS3D), relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità; Direttiva UE 2022/2464, c.d. Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022, che modifica la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità, recepita nel nostro ordinamento con Decreto Legislativo, 6 settembre 2024, n. 125.
Oltre che il supra citato Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisca gli investimenti sostenibili
[3] S. A. CERRATO, op.cit., p.70, «“L’essere sostenibili […] è divenuta quasi una condicio sine qua non di esistenza dell’impresa […]”.
[4] Il Decreto Legislativo, 6 settembre 2024, n. 125, di attuazione della direttiva 2022/2464/UE, ha infatti esteso l’ambito di applicazione della direttiva, per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2026 o in data successiva, anche alle piccole e medie imprese quotate (La CSRD, inoltre, prevede l’obbligo per le imprese di includere anche le informazioni sugli impatti materiali, sui rischi e sulle opportunità connesse all’intera catena del valore a monte e a valle, quali risultanti delle attività di due diligence e dell’analisi di materialità.
[5] Significativo a riguardo, G. STRAMPELLI, L’informazione non finanziaria tra sostenibilità e profitto, in Analisi giur. econ., 1/2022, p.146, il quale, cita l’Editorial Board (2021), Danone: A case study in the pilfalls of purpose, in Financial Times, 18 marzo sul caso Danone, che ha osservato che «le politiche di sostenibilità sono “sostenibili” solo se la società è in grado di misurare e comunicare ai soci e al mercato il valore (per gli investitori) creato mediante il perseguimento di obiettivi ESG».
Con tale vicenda, si è dimostrato che ciò che i soci ricercano è il conseguimento dei profitti (c.d. scopo lucrativo della società) e che il perseguimento di obiettivi diversi e “altri” è da questi supportato solo nella misura in cui non determini una riduzione del rendimento dell’investimento azionario, anzi, è supportato purché determini un risparmio dei costi e, quindi, valore per i soci. Appare chiaro, cioè, che oggi si è perso l’obiettivo della Sostenibilità, la quale è perseguita solo in virtù delle disposizioni normative obbligatorie emanate, a livello comunitario e nazionale, in tema di ESG.
[6] M. RESCIGNO, Note sulle “regole dell’impresa “sostenibile. Dall’informazione non finanziaria all’informativa sulla sostenibilità, in Analisi giur. econ., 1/2022, p.165 il quale afferma che la sostenibilità è al centro di un lungo cammino che «ha preso le mosse dalle problematiche di tipo ambientale, oggetto della prima conferenza ONU sul tema del 1972, e che ha visto i suoi orizzonti allargarsi per affrontare molte altre tematiche. Per avere una misura della ampiezza e eterogeneità della nozione di sviluppo sostenibile basta rilevare che oggi l’ONU riconduce a tale paradigma ben diciassette obiettivi».
Il riferimento qui è all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità.
Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’Agenda è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 target o traguardi, ad essi associati, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030.
[7] G. MELANDRI, Il Mercato salverà il clima anche dal negazionismo della destra guidata da Trump, in La Repubblica, 2 dicembre 2024, p.17. In tale articolo, l’autrice sottolinea che: «Il Mercato…. Lo ha (già) fatto in Europa a valle del green deal, lo ha (già) fatto in America a valle dell’ira di Biden».
[8] M.PELLEGRINI, Sostenibilità, Finanza e Inclusione sociale: una prospettiva di Feminist Legal Theory, in Rivista Corporate Governance, Fascicolo 4/24.
[9] M. PELLEGRINI, op.cit., la quale, a sostegno di quanto detto, osserva che: «Non a caso negli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dalle Nazioni Unite nel 2015 con “Agenda 2030” oltre alle indicazioni sulla protezione degli ecosistemi e della biodiversità, vi è molto di più. Si parla di riduzione delle disuguaglianze, di salute, di lavoro, di infrastrutture, di imprese e altro ancora».
[10] M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, op.cit. p. 55: «La sigla ESG è stata “coniata formalmente nel 2004, due anni dopo Johannesburg, da James Gifford, allora head of Sustainable & Impact advisory di Credit Suisse, che ne rivela così la genesi a «Il Sole 24 Ore»: “Quando ero all’Unep-FI, il programma ONU per l’ambiente, ci siamo resi conto che stava emergendo una consapevolezza diffusa dell’importanza della sostenibilità. Gli indicatori finanziari esistenti non stavano però catturando questi aspetti».
[11] M. LAPUCCI, op.cit. pp.119-120, in cui l’Autore ritiene che «è possibile restituire vigore e trasparenza al modello ESG e nel contempo ripensare alle regole che ne determinano attribuzione e finalità”. Ciò può accadere, come suggeriscono gli Autori, avanzando alcune proposte e proponendo un nuovo acronimo: “ESG + H, dove «H» è il booster, la potenza che eleva un codice funzionante ma, inevitabilmente da rinnovare. Una lettera che, per casualità lessicale di cui non possiamo non tener conto, è iniziale di Health, Human e Happiness … che potrà simboleggiare un nuovo patto sociale possibile».
[12] S. A. CERRATO, op.cit., p. 71, l’ A. parla di «insostenibilità delle scelte sostenibili», riferendosi con tale frase alla transizione dai carburanti fossili a quelli da fonti rinnovabili: «a livello sociale si profila lo spettro di una crisi sistemica di ampie fasce dell’indotto dell’automotive che saranno costrette a ridimensionare gli organici o a chiudere stabilimenti e impianti aggravando i livelli di disoccupazione e di povertà e innalzando le tensioni sociali, senza considerare le condizioni di lavoro al limite della schiavitù di adulti e minori in cui – lo riportano fonti attendibili (UNICEF e Amnesty International) – sono ridotti coloro che estraggono i minerali necessari per la componentistica di apparecchi elettronici e accumulatori elettrici (principalmente in Congo), mentre sul piano ambientale pare che nessuno sia consapevole dello «stupro ambientale» che stiamo perpetrando al pianeta e del danno futuro che deriverà dallo smaltimento delle batterie esauste, ben maggiore di quello dei motori termici attuali».
[13] M.RICCI, Dai palazzi dei governi ai cda il grande balzo all’indietro nella battaglia sul clima, in La Repubblica, A&F, 15 luglio 2024, sostiene provocatoriamente che: «L’ambiente non è più di moda. Non è più un must, a cui sacrificare altre esigenze e opportunità». Riporta poi, a sostegno di tale tesi, i dati relativi a una molteplicità di settori in cui l’arresto sull’environmental si sta realizzando: «Gli investitori non si fanno più scrupoli di buona coscienza: i fondi ESG (quelli per cui è decisiva la politica ambientale e sociale delle aziende in cui investire) hanno registrato disinvestimenti per 38 miliardi di dollari. […] la Volkswagen non parla più dell’impegno a tagliare del 30 per cento le emissioni delle sue auto entro il 2050. […] Anche un’azienda a prima vista molto attenta alla propria immagine ambientale, come Google, ha ammesso che, proprio per alimentare i suoi centri dati per l’esplosione dell’AI, ha aumentato le sue emissioni di anidride carbonica del 50 per centro negli ultimi cinque anni». Insomma, «L’ambiente è tornato a essere un ingombro. Questa collana di rinunce e di passi indietro spicca perché, dicono gli ambientalisti, gli impegni erano relativamente modesti».
[14] S. A. CERRATO, op.cit., p. 109, riporta in nota n. 109 le parole di Papa Giovanni Paolo II, il quale, nella sua lettera ricordava che l’impresa è una comunità di uomini che «costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società», di tal ché «il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; a esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, sul lungo periodo, sono almeno altrettanto essenziali per la vita dell’impresa» (Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus Annus, 1991); più di recente Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in veritate ha ammonito che «la gestione d’impresa non può non tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento».
Mi si consenta di rimandare, a tal proposito, al mio intervento “Corporate Governance, verso una nuova visione human centered”, in occasione del Corso: “principi di finanza etica e sostenibile”, tenutosi presso l’Università Pontificia Salesiana, il 18 gennaio 2025.
[15] A.F. URICCHIO, nell’ editoriale di questo Fascicolo cita in nota n. 4, MAGATTI, Cambio di paradigma, uscire dalla crisi pensando al futuro, Milano, 2017, p.105. L’ A. sostiene che appare necessario un nuovo modo di pensare, che potremmo definire “ecosofia” o, come lo definisce Papa Francesco nella Enciclica Laudato sì, l’ecologia integrale attraverso il quale ricomporre in modo armonico il rapporto tra natura, cultura e società e soprattutto realizzare una vera e propria società ecologica in cui unità sociali naturali (individui e famiglie), operatori economici e le istituzioni pubbliche operano assumendo la stabilità dell’ecosfera e la giustizia sociale come cornice necessaria entro cui svolgere qualunque attività umana in un contesto comunitario intergenerazionale.
[16] M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, op.cit., p. 81.
[17] In questa direzione va il convegno, parte del ciclo di seminari “In cammino. Abbazie d’Europa”, intitolato «La relazione di comunità come stile di vita: un’eredità del passato, una prospettiva di avvenire», tenutosi il 1° ottobre 2024, presso l’Ex Abbazia Chiesa Madre di San Nicola, a Cisternino, e presieduto da Livia Pomodoro, titolare della Cattedra Unesco “Food Systems for Sustainable Development and Social Inclusion” presso l’Università Statale di Milano e coordinato da Antonio Bettanini, Direttore In cammino. Abbazie d’Europa.
[18]M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, op.cit., p. 76. Gli Autori esprimono queste considerazioni partendo dal «principio su cui sono tutti d’accordo: gli esseri viventi sono connessi, nel bene e nel male, ai rispettivi ecosistemi. Lo sostiene l’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui questo legame sarà sempre più stretto a causa dell’accresciuta antropizzazione e dell’innalzamento della temperatura; fattori che favoriscono la diffusione di malattie trasmesse dagli animali».
Peraltro, sottolineano che lo stesso Santo Padre, Francesco, nella Enciclica Laudato Sì, afferma che: «gli ecosistemi intervengono nel sequestro dell’anidride carbonica, nella purificazione dell’acqua, nel contrasto di malattie e infestazioni, nella composizione del suolo, nella decomposizione dei rifiuti e in moltissimi altri servizi che dimentichiamo ed ignoriamo […]. Perciò, quando si parla di uso sostenibile bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori ed aspetti».
[19] Basti pensare che, per le società quotate, il Codice di Corporate Governance di Borsa Italiana, nell’ultima versione del 2020, prevede, per le società che aderiscono a tale Codice di Autodisciplina, il perseguimento del c.d. «successo sostenibile». All’art. 1 si precisa infatti che “l’organo di amministrazione guida la Società perseguendone il successo sostenibile”. Esso è definito quale “obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”.
Per un approfondimento sul tema, P. MONTALENTI, Impresa e fattori ESG: lo stato dell’arte, in Banche, contratti di finanziamento alle imprese e sostenibilità, a cura di P. MONTALENTI e M. NOTARI, Giuffrè,2024.
- A. CERRATO, op.cit., p. 70, afferma che «perseguire obiettivi di governance (acronimo «G») significa migliorare il benessere dei soci; quindi, il valore del loro investimento (shareholders’ value), ma ciò va a discapito di ambiente e comunità (a cui si riferiscono gli acronimi «ES»), poiché gli interessi degli stakeholders solitamente si pongono in antitesi a quelle dei soci».
Anche U. TOMBARI, Riflessioni sullo “statuto organizzativo” dell’“impresa sostenibile” tra diritto italiano e diritto europeo, in Analisi giur. econ., 1/2022, pp.139-140, osserva a riguardo che, «secondo l’opinione dominante, nell’attuale ordinamento societario una società lucrativa può perseguire gli interessi degli stakeholders solo in via residuale e comunque strumentale rispetto alla creazione di valore. Il perseguimento del «successo sostenibile» non può richiedere, allora, alcun contemperamento degli interessi in gioco (soci e stakeholders): obiettivo prioritario del consiglio di amministrazione deve essere la «creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti», nella consapevolezza, tuttavia, che, per conseguire questo obiettivo, è necessario (e non più solo opportuno) «tener conto» degli «altri interessi», in quanto solo attraverso un corretto ed efficiente rapporto con gli stakeholders di riferimento sarà possibile creare valore nel tempo per l’impresa e per gli azionisti».
L’ A. riporta poi le parole citate nella lettera di Larry Fink, CEO di BlackRock, del 2022: “We focus on sustainability not because we’re environmentalists, but because we are capitalists and fiduciaries to our clients”.
[20] Un’azione che potremmo definire di monito per una definizione di Sostenibilità globale e che prescinda dall’acronimo ESG, è avvenuta con la riforma costituzionale 1/2022, la quale ha novellato il secondo comma dell’art. 41 Cost., affermando che l’iniziativa economica privata, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”», e ha novellato altresì l’art. 9 Cost estendo la tutela non solo al paesaggio, ma altresì «all’ambiente, alla biodiversità, agli ecosistemi».
- F. URICCHIO, op.cit., pp.10-11, l’ A. nel commentare le novità introdotte dalla riforma costituzionale citata, riporta le parole della Consulta, secondo cui “la riforma del 2022 consacra direttamente nel testo della Costituzione il mandato di tutela dell’ambiente, inteso come bene unitario, comprensivo delle sue specifiche declinazioni rappresentate dalla tutela della biodiversità e degli ecosistemi, ma riconosciuto in via autonoma rispetto al paesaggio e alla salute umana, per quanto ad essi naturalmente connesso”.
Per un maggiore approfondimento sulla riforma costituzionale 1/2022, vedasi anche M. GRECO, Il diritto costituzionale dell’ambiente dopo la riforma: alcune conferme e qualche (inattesa) novità nella sentenza della Corte costituzionale n. 105/2024, in diritti comparati (on line), 25 luglio 2024.
[21] A tal proposito, interessante appare il discorso al Reichstag di Berlino del 22 settembre 2011 di Papa Benedetto XVI, citato da URICCHIO, op. cit., in nota n. 8. In tale discorso il Santo Padre ha fornito la prospettiva corretta per inquadrare le tematiche ambientali, con una forte focalizzazione sull’individuo e sulle sue azioni: «L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza un punto che – mi pare – venga trascurato oggi come ieri: esiste anche un’ecologia dell’uomo (grassetto mio). Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea sé stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta sé stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana».
[22] M. MAZZUCATO, Missione economia. Una guida per cambiare il capitalismo, Roma-Bari, 2021: «La vita delle persone, e la salute del pianeta, dipendono dalla nostra capacità di affrontarle», citata da TOMBARI, op.cit., p.135.
[23]M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, op.cit., pp. 115-116. Gli autori hanno osservato che: «Di ESG si parla inconsapevolmente da oltre tre secoli. A metà del seicento, il diarista inglese John Evelyn aveva denunciato gli effetti della combustione e del carbone a Londra e durante il Secolo dei Lumi, parallelamente alla crescita del mondo industrializzato, alcuni intellettuali come Giuseppe Parini e Rousseau – che nell’E’mile lo aveva definito l’inquinamento «rovina della specie umana» – esortavano i governi a tenere sotto controllo la salubrità dell’ambiente, pur da una posizione progressista che non negava ideologicamente la crescita industriale». Ma dalla loro ricostruzione, in cui certamente si presta attenzione ai fenomeni ambientali partendo dalla rivoluzione industriale fino ai primi disastri che culmineranno con il «great smoke» di Londra, emerge la centralità dell’uomo, che senza alcun dubbio «[…] è al tempo stesso creatura ed artefice del suo ambiente, che gli assicura la sussistenza fisica e gli offre la possibilità di uno sviluppo intellettuale, morale, sociale e spirituale».
[24] Tale evento si è tenuto alla Camera dei deputati, Palazzo Montecitorio, in Roma il 10 e 11 dicembre 2024. È un progetto che è nato dall’idea di Giammario Battaglia e che è stato promosso dalla Commissione Cultura della Camera, con l’intento di riunire leader globali per costruire una visione inedita della umanità.
[25] Vedasi, a tal proposito, “Greeting Of His Holiness Pope Francis”, 11 dicembre 2024, il discorso tenuto dal Santo Padre ai partecipanti in occasione dell’evento “Human Economic Forum”.
[26] A. F. URICCHIO, op.cit., p.7: «Lo sviluppo si “tiene su” se dura nel tempo, senza danneggiare, compromettere o distruggere le risorse che impiega».
[27] S. A. CERRATO, op.cit., pp. 105-106. Secondo l’A., affinché la Sostenibilità sia garantita su tutti i livelli e non solo parzialmente, deve essere posto in atto un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco (prosecuzione dell’attività d’impresa, diritto alla salute, alla vita e all’incolumità, tutela dell’ambiente) secondo «criteri di proporzionalità e di ragionevolezza in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati», secondo quanto stabilito dalla Corte Cost. 23 marzo 2018, n. 58.
[28] M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, op.cit., p.82.
[29] M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, op.cit., p.84 nel citare le parole di Papa Francesco, il quale «ammonisce che non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psico-logico e sociale che venga loro imposto».
[30] Celebre citazione di Albert Einstein, citata da M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, op.cit., nelle pagine preliminari del libro di cui supra nota n.1.
[31] M. LAPUCCI, S. LUCCHINI, op.cit., p.84.